Per la prima personale di Marco Colombaioni, I quadri di Annibale, che inaugura al Museo di Storia Naturale di Milano il 6 dicembre 2012, Simon Njami ha scritto un testo, perfetto.
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Annibale o l’anti-storia
Per Emiliana e Matteo
« Ogni storia si accompagna a un numero indeterminato di anti-storie di cui ciascuna è complementare alle altre. » Claude Lévi-Strauss
Annibale è il figlio di Amilcare Barca nato due secoli prima di Gesù. Annibale è vissuto in un periodo in cui regnava una grande tensione attorno al Mediterraneo, nel periodo in cui Roma imponeva il suo potere su tutti i suoi vicini. Il suo nome è passato alla storia come stratega fuori dal comune dopo che aveva attraversato i Pirenei e le Alpi con un esercito in cui aveva incorporato degli elefanti. Occupò la maggior parte dell’Italia dopo le sue vittorie di Trebbia, Trasimeno e Canne. Dopo una serie di sconfitte contro i Romani, si suicidò dopo essere stato tradito. Nel mondo moderno, il suo genio militare è stato paragonato a quello di Napoleone e di Wellington. Perché un giovane artista italiano dovrebbe scegliere un personaggio come Annibale, un Africano – perché Cartagine appartiene alla Tunisia – per ritracciare, più di due millenni più tardi, la sua epopea? In che modo la figura di questo personaggio entrato nella leggenda poteva servire allo scopo di un giovane Europeo uscito da una scuola milanese? La risposta si trova nella biografia di Marco Colombaioni. Anche se bisogna soffermarsi un momento sul giorno doloroso in cui il giovane artista ci ha lasciato, mi sembra importante ritornare all’articolazione del dramma. Per riassumere l’accaduto non c’è che una parola che mi viene in mente: dono di sé. E in questo dono di sé, si può percepire la collera e la rivolta di un essere per il quale ogni ingiustizia è insopportabile. In questa attitudine, non eroica, come è stato scritto qua e là, ma umanista, risiede una potente volontà di rifiutare la fatalità e di credere che l’essere umano è responsabile del suo destino e delle sue scelte.
É con questo stesso obiettivo che si è dedicato, nel suo lavoro, ad elaborare, secondo le parole di Levi-Strauss, un’anti-storia. Una storia che, contrariamente alla celebre massima, non corrisponde a quella del vincitore. Ostinandosi a dipingere l’epopea di Annibale, un militare che ha preferito il suicidio a una vita di sottomissione, Colombaioni arriva a rimettere in discussione la nozione stessa di vincitore. L’Occidente, che secondo Jean-Paul Sartre nel suo Orfeo Nero, ha elevato il proprio pensiero a verità assoluta, ha rifiutato, durante i secoli, di tollerare una qualsiasi contraddizione. Questa attitudine si ritrova nelle parole di Hegel quando afferma nel 1830 che l’Africa è un continente a-storico. In questa volontà di confinare il continente africano al granaio dell’umanità, c’è un processo ideologico di dominazione chiaramente annunciato. Scegliendo un Cartaginese, che ha fatto tremare a suo tempo la potenza assoluta dell’impero romano, l’artista evoca delle figure leggendarie come quelle di Ménélik, imperatore etiope che sconfisse l’esercito italiano; l’haitiano Toussaint L’Ouverture che si oppose vittoriosamente all’esercito napoleonico; o anche, più vicino a noi, Nelson Mandela, che con il suo atteggiamento, è riuscito a piegare il regime iniquo dell’apartheid. Così, bisogna vedere, nella scelta di Annibale, un personaggio metaforico che ne contiene molti altri.
Nell’approccio scelto da Colombaioni, volutamente improntato a un realismo che si potrebbe definire romantico, ci sono troppi piani simbolici sui quali è importante tornare più approfonditamente: la figura arrogante del cacciatore davanti al suo trofeo, che mostra il patetico orgoglio ostentato dall’uomo (in questo caso europeo) che trae il proprio piacere da tutta questa potenza che gli procura il suo fucile e gli dà diritto di vita e di morte su tutta la vita; quest’immagine nella quale appaiono un negro e due soldati romani, legati dall’improbabile fratellanza che deriva loro dall’irruzione inattesa di un elefante nel loro campo visivo; e, infine, l’elefante stesso. L’elefante, è la materializzazione di questa anti-storia alla quale facevo riferimento. È la messa in scena della contraddizione fondamentale nel cuore di un mondo che credeva di essere padrone di tutte le cose. La forza bruta dell’animale, opposta alle costruzioni sofisticate di Roma, il contrasto tra questo mastodonte, re delle savane africane e indiane con le sommità innevate delle Alpi, l’irruzione del selvaggio nel cuore della civilizzazione. Con queste costanti opposizioni, con queste storie nelle storie chiaramente espresse, Colombaioni ci obbliga ad osservare con un occhio purificato da idee preconcette e false verità, ciò che lo scrittore afro-americano James Baldwin ha definito l’evidenza delle cose che non si vedono. È il paradosso hegeliano del padrone e del servo che si rappresenta sotto i nostri occhi e la cui eco, nonostante la storia illustrata dall’artista sembri molto lontana da noi, risuona con piena potenza in un mondo contemporaneo dove la riflessione sull’alterità resta da definire.
Non è, infine, meno interessante che la prima esposizione dedicata a questo lavoro, si svolga in un museo di storia naturale, perché la neutralità di questo spazio a priori senza ideologia, dato che la storia che tratta non è quella delle guerre e delle conquiste, ci permette di meglio vedere e di meglio comprendere.
Simon Njami
Tutte le foto sono di Vince Cammarata | Fosphoro